Articolo a cura di Flowriting
Secondo Laurie Hertzel, senior editor per i libri al Minneapolis Star Tribune oltre che giornalista pluripremiata e scrittrice di racconti brevi, ci sono alcune regole d’oro da osservare per la scrittura di un’autobiografia di successo.
Prima di tutto, per quanto sembri banale dirlo, bisogna avere per le mani una buona storia da raccontare: ciò significa che deve contenere, accanto a elementi personali, anche aspetti per così dire universali, che mostrino come quella particolare esistenza si inserisca nel mondo oppure in una determinata epoca.
Una storia, insomma, nella quale tutti i lettori si possano identificare.
In secondo luogo, occorre trovare la propria “voce”, ovvero il giusto tono della narrazione. Una questione cruciale e delicata, che può pregiudicare l’autorevolezza e la credibilità di quanto mettiamo sulla carta, e che ha molto a che fare con l’autenticità con la quale ripercorriamo e condividiamo gli eventi che ci hanno visto protagonisti.
A questo proposito è bene sottolineare la differenza tra autobiografia vera e propria e “memoir”: mentre la prima dovrebbe essere più rigorosamente strutturata come un’obiettiva e completa esposizione cronologica dei fatti accaduti, il secondo – ormai sempre più diffuso – si concentra su un certo periodo o un certo aspetto della nostra vita e presuppone una maggiore licenza nella scrittura, così come una visione personale di quanto accaduto e un accento più marcato sugli aspetti interiori ed emotivi della storia.
Qualche esempio? Laurie ne cita sei molto recenti: L’educazione di Tara Westover (l’unico pubblicato in italiano, da Feltrinelli Editore), The Day That Went Missing di Richard Beard, All You Can Ever Know di Nicole Chung, What Drowns The Flowers In Your Mouth di Rigoberto Gonzalez, Belonging di Nora Krug e Old In Art School di Nell Painter.